La performance dei fondi è spesso ritenuta il test acido della gestione dei fondi e, nel contesto istituzionale, una misurazione accurata è una necessità. A tal fine, le istituzioni misurano la performance di ogni fondo (e di solito per scopi interni i componenti di ogni fondo) sotto la loro gestione, e la performance viene misurata anche da società esterne specializzate nella misurazione della performance. Le principali società di misurazione della performance (ad esempio Russell Investment Group negli Stati Uniti o BI-SAM in Europa) compilano dati aggregati del settore, ad esempio, mostrando come i fondi in generale si sono comportati rispetto a determinati indici di performance e gruppi di pari in vari periodi di tempo.
In un caso tipico (diciamo un fondo azionario), il calcolo verrebbe effettuato (per quanto riguarda il cliente) ogni trimestre e mostrerebbe una variazione percentuale rispetto al trimestre precedente (ad esempio, +4,6% di rendimento totale in dollari USA). Questa cifra verrebbe confrontata con altri fondi simili gestiti all’interno dell’istituto (a scopo di monitoraggio dei controlli interni), con i dati di performance per i fondi del gruppo dei pari, e con gli indici pertinenti (se disponibili) o benchmark di performance su misura, se del caso. Le società specializzate nella misurazione della performance calcolano dati quartili e decili e si dovrebbe prestare molta attenzione alla classifica (percentile) di qualsiasi fondo.
È probabilmente appropriato per una società di investimento convincere i propri clienti a valutare la performance su periodi più lunghi (ad esempio, da 3 a 5 anni) per smussare le fluttuazioni a brevissimo termine della performance e l’influenza del ciclo economico. Questo può essere difficile tuttavia e, in tutto il settore, c’è una seria preoccupazione per i numeri a breve termine e l’effetto sulla relazione con i clienti (e i conseguenti rischi commerciali per le istituzioni).
Un problema persistente è se misurare la performance prima delle tasse o dopo le tasse. La misurazione al netto delle imposte rappresenta il beneficio per l’investitore, ma le posizioni fiscali degli investitori possono variare. La misurazione al lordo delle imposte può essere fuorviante, soprattutto in regimi che tassano le plusvalenze realizzate (e non quelle non realizzate). È quindi possibile che i gestori attivi di successo (misurati al lordo delle imposte) possano produrre risultati miserabili al netto delle imposte. Una possibile soluzione è quella di riportare la posizione al netto delle imposte di qualche contribuente standard.
Misurazione della performance corretta per il rischioModifica
La misurazione della performance non deve essere ridotta alla sola valutazione dei rendimenti del fondo, ma deve integrare anche altri elementi del fondo che potrebbero interessare gli investitori, come la misura del rischio assunto. Diversi altri aspetti fanno parte della misurazione della performance: valutare se i gestori sono riusciti a raggiungere il loro obiettivo, cioè se il loro rendimento è stato sufficientemente alto da ricompensare i rischi assunti; come si confrontano con i loro pari; e infine, se i risultati della gestione del portafoglio sono dovuti alla fortuna o all’abilità del gestore. La necessità di rispondere a tutte queste domande ha portato allo sviluppo di misure di performance più sofisticate, molte delle quali hanno origine nella moderna teoria del portafoglio. La moderna teoria del portafoglio ha stabilito il legame quantitativo che esiste tra rischio e rendimento del portafoglio. Il capital asset pricing model (CAPM) sviluppato da Sharpe (1964) ha evidenziato la nozione di ricompensa del rischio e ha prodotto i primi indicatori di performance, siano essi rapporti aggiustati per il rischio (Sharpe ratio, information ratio) o rendimenti differenziali rispetto ai benchmark (alpha). Il rapporto di Sharpe è la misura di performance più semplice e conosciuta. Misura il rendimento di un portafoglio in eccesso rispetto al tasso privo di rischio, rispetto al rischio totale del portafoglio. Questa misura è detta assoluta, in quanto non fa riferimento ad alcun benchmark, evitando gli inconvenienti legati ad una cattiva scelta del benchmark. Allo stesso tempo, non permette di separare la performance del mercato in cui è investito il portafoglio da quella del gestore. L’information ratio è una forma più generale dello Sharpe ratio in cui l’asset privo di rischio è sostituito da un portafoglio di riferimento. Questa misura è relativa, in quanto valuta la performance del portafoglio in riferimento a un benchmark, rendendo il risultato fortemente dipendente da questa scelta di benchmark.
L’alfa di portafoglio si ottiene misurando la differenza tra il rendimento del portafoglio e quello di un portafoglio di riferimento. Questa misura sembra essere l’unica misura di performance affidabile per valutare la gestione attiva. Infatti, dobbiamo distinguere tra i rendimenti normali, forniti dalla giusta ricompensa per l’esposizione del portafoglio ai diversi rischi, e ottenuti attraverso la gestione passiva, dalla performance anomala (o sovraperformance) dovuta all’abilità (o alla fortuna) del gestore, sia attraverso il market timing, lo stock picking, o la buona sorte. La prima componente è legata alle scelte di investimento di allocazione e stile, che possono non essere sotto il controllo esclusivo del gestore, e dipende dal contesto economico, mentre la seconda componente è una valutazione del successo delle decisioni del gestore. Solo quest’ultima, misurata dall’alfa, permette di valutare la vera performance del gestore (ma solo se si assume che l’eventuale sovraperformance sia dovuta all’abilità e non alla fortuna).
Il rendimento del portafoglio può essere valutato con modelli fattoriali. Il primo modello, proposto da Jensen (1968), si basa sul CAPM e spiega i rendimenti del portafoglio con l’indice di mercato come unico fattore. Diventa presto chiaro, tuttavia, che un fattore non è sufficiente per spiegare bene i rendimenti e che altri fattori devono essere considerati. I modelli multifattoriali sono stati sviluppati come alternativa al CAPM, permettendo una migliore descrizione dei rischi di portafoglio e una valutazione più accurata della performance di un portafoglio. Per esempio, Fama e French (1993) hanno evidenziato due importanti fattori che caratterizzano il rischio di una società oltre al rischio di mercato. Questi fattori sono il rapporto book-to-market e la dimensione dell’azienda misurata dalla sua capitalizzazione di mercato. Fama e French hanno quindi proposto un modello a tre fattori per descrivere i rendimenti normali del portafoglio (modello a tre fattori Fama-French). Carhart (1997) ha proposto di aggiungere il momentum come quarto fattore per permettere di prendere in considerazione la persistenza a breve termine dei rendimenti. Anche il modello di analisi di stile di Sharpe (1992) è interessante per la misurazione della performance, in cui i fattori sono indici di stile. Questo modello permette di sviluppare un benchmark personalizzato per ogni portafoglio, utilizzando la combinazione lineare degli indici di stile che meglio replicano l’allocazione degli stili del portafoglio, e porta ad un’accurata valutazione dell’alfa del portafoglio.